Giornalismo in lutto a Pasqua. Addio a Piero Ottone, morto a 93 anni

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Si è spento nella notte a 93 anni Piero Ottone, decano del giornalismo, ex direttore del Corriere della Sera e editorialista di Repubblica. “Ciao, Piero Ottone, lo stile nel giornalismo e nella vita”, ha scritto su Twitter l’ex direttore di Repubblica Ezio Mauro annunciandone la scomparsa.

Pseudonimo di Pierleone Mignanego, Ottone nasce a Genova nel 1924. Gli inizi al Corriere Ligure e poi alla Gazzetta del popolo, come redattore e corrispondente da Londra. Negli anni ‘50 passa al Corriere della Sera, come corrispondente da Mosca e inviato speciale, fino alla promozione a caporedattore. Dal 1968 al 1972 è direttore del Secolo XIX, poi torna, fino al 1977, alla guida del Corriere della Sera, voluto da Giulia Maria Crespi per imprimere una svolta a sinistra al quotidiano. Celebre la rottura con Indro Montanelli, di cui propose il licenziamento e che lasciò il Corriere, insieme ad altre firme prestigiose, per fondare Il Giornale. Nel 1977 Ottone lascia via Solferino per entrare in Mondadori, di cui diventa direttore generale, e poi presidente del consiglio di amministrazione di Repubblica. “Indro non mi manifestò mai pubblicamente il suo dissenso. Poi, rilasciò un’intervista in cui sparò a zero contro di me e contro il Corriere. Disse che il giornale era uno sfacelo e senza più una linea. Mi accusò di essere di sinistra e che avevo tradito la borghesia lombarda. Poi aggiunse che lui era pronto a fare un nuovo giornale. Era una frase sleale più verso il Corriere che nei miei confronti”, raccontò qualche anno fa.

Piero Ottone ha scritto molti libri: biografie di uomini politici (Fanfani e De Gasperi), reportage sulla Russia, inchieste sull’industria italiana (Saremo colonia?). Suo anche un ritratto di Gianni Agnelli Visto da vicino (2003). “Aveva – commentò – soprattutto il terrore di annoiarsi”. Nel 2005 scrisse anche un libro di memorie, le Memorie di un vecchio felice, perfettamente in linea con l’understatement con cui aveva sempre vissuto.

“Il giornalismo italiano – scriveva – soffre di un difetto d’origine: manca di coscienza etica. Dall’inizio del secolo ad oggi non ha mai avuto una vita propria ed autonoma, diversa dall’ideologia, dalla politica, dall’economia. È mancata l’idea di un giornalismo visto come strumento di informazione obiettiva. La mia opinione è che la nostra professione rappresenta un’istituzione che dovrebbe avere una sua coscienza, una morale, un’anima e sentire come propria missione esclusiva quella di dedicarsi alla società. Questo in Italia non è mai accaduto”.

 

 

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