Un campo di calcio a cavallo tra due nazioni. Succede in una piccola squadra della Lega Regionale della Bosnia-Erzegovina, il cui impianto sportivo ha sede per tre quarti in Bosnia, appunto, e per il restante quarto in Croazia. Una nazione che fa parte dell’Unione Europea (la Croazia), l’altra no. Un disagio non da poco per la società del Partizan di Kostajnica, il cui presidente, Zoran Avramovic, spiega: “Questa situazione è figlia della dissoluzione della Jugoslavia. Quando la palla finisce sul territorio croato, chi è deputato a riprenderla si porta il passaporto in forma precauzionale. La polizia di frontiera croata non ha ancora chiesto il passaporto ai calciatori, ma l’ha fatto a dei contadini vicini al campo da gioco”. Le panchine si trovano in Croazia, i giocatori che attendono di entrare in campo si trovano, quindi, in Unione Europea. Avramovic prosegue: “I giocatori però non giocano con il passaporto nei calzoncini. Prima della divisione dei Balcani in singoli Stati nazionali, giocavamo nella Lega Regionale di Zagabria contro squadre come lo Slaven Belupo. Questo ci ha permesso di avere buone relazioni con la Croazia e i croati”.
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