In Italia la corruzione è dura, da aggredire. La metà delle ASL non ha messo in pratica il piano nazionale, in 1 struttura su 4 ci sono fenomeni di questo tipo.
Peggio di tutti la Calabria e la Puglia, ma a parte eccezioni è tutto il Sud a cadere sotto i controlli anticorruzione.
Nelle tasche di corrotti e corruttori, il 6 per cento dei 113 miliardi del sistema sanitario nazionale, quasi 7 miliardi l’anno che arrivano a 13, se si stimano le inefficienze di sistema che scaturiscono proprio dalla corruzione.
Tra i settori ritenuti a più alto rischio ci sono l’acquisto e la fornitura di beni e servizi, la gestione delle liste d’attesa, l’assunzione di personale, le nomine dei soggetti apicali, le false certificazioni, l’accreditamento delle strutture private, le prescrizioni improprie dei farmaci, la formazione e le consulenze.
Ma anche accordi con le pompe funebri private, favoritismi ai pazienti provenienti dalla libera professione.
Ecco i dati del nuovo rapporto sulla corruzione in sanità coordinato da Transparency International Italia, con Censis.
Le strutture sanitarie che hanno partecipato all’indagine sono state classificate in 4 gruppi. Secondo un indice che valuta la percezione del rischio di corruzione. 24 strutture, pari al 17,6%, di cui ben 16 del Nord, si classificano nella fascia di rischio basso. Sono invece 20 le strutture sanitarie, cioè il 14,7%, che presentano una percezione di rischio alto. Tra queste 9 si trovano al Sud.
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