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Ergastolo al comandante bosniaco Paraga: uccise tre volontari italiani

Condannato all’ergastolo, dal tribunale di Brescia, Hanefija Prijic, detto Paraga. Si tratta del comandante paramilitare bosniaco che ha dato l’ordine di eseguire la strage di Gornji Vakuf, del 29 maggio 1993, quando furono uccisi tre volontari italiani: Sergio Lana, Fabio Moreni e Giorgio Puletti che facevano parte di un convoglio umanitario partito da Brescia e destinato alla popolazione di Zavidovici.

Con loro c’erano Agostino Zanotti e Cristian Penocchio, riusciti invece a scappare nei boschi e a mettersi in salvo dopo avere raggiunto la sede dei caschi blu scozzesi dell’Onu a Bugojno.

Il gip ha accolto la richiesta di “fine pena mai” avanzata dal pm Silvia Bonardi. Paraga, in patria 12 anni di carcere, ha rigettato ogni accusa: “Non sono stato io a ordinare il triplice delitto. Ho le carte che lo dimostrano” ha detto in aula, addebitando al cugino Sabahudin, nome di battaglia “Dino”, la responsabilità della strage, della materiale esecuzione dei volontari bresciani.

Paraga è in carcere a Brescia dallo scorso febbraio dopo essere stato estradato dalla Germania, paese in cui è stato fermato su mandato internazionale richiesto dall’Italia.

Dopo l’estradizione in Italia con arrivo a Linate a Febbraio 2016 è iniziato il processo. Decisive le testimonianze dei superstiti che hanno sempre sostenuto che«fu lui a dare gli ordini». E gli altri, tutti armati, altro non avrebbero fatto che eseguire. Avevo perso le tracce dei volontari, che erano stati presi in consegna da altri uomini» disse invece Paraga.

A incastrarlo fu un filmato che consentì ai sopravvissuti di riconoscerlo: le immagini immortalavano Paraga con berretto verde e distintivo della mezzaluna, circondato da una trentina di miliziani armati di kalashnikov e accompagnato da una donna.

L’avvocato Almin Dautbegovic, che con la collega italiana Chantal Frigerio ha difeso Paraga, preannuncia battaglia legale:«Paraga è innocente, abbiamo dato i nomi di chi ha sparato. Faremo appello contro questa sentenza».

«Questo processo non ha portato alla verità. Ho ancora molti dubbi in merito a quella missione umanitaria. Mio figlio era partito convinto di portare aiuti, ma forse c’era altro sotto che ancora non è emerso». Lo ha detto il padre di Sergio Lana, uno dei tre volontari bresciani uccisi nella strage.

Sia il padre che la madre di Sergio erano presenti alla lettura della sentenza.

Redazione

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