Politica

Fiducia e proteste ieri al Senato: avanti con la legge elettorale

La legge elettorale va avanti e  incassa le 5 fiducie al Senato. Palazzo Madama ha approvato le questioni di fiducia poste dal governo sugli articoli 1, 2, 3, 4 e 6 della legge elettorale. Approvato anche l’articolo 5, con la clausola di invarianza finanziaria.

Proteste dopo il voto

A guardare i numeri, Pd, Ap, Autonomie, con l’aiuto dell’Idv, sono state autosufficienti nella maggior parte delle votazioni, anche se la ‘stampella’ dei verdiniani di Ala, fra critiche e proteste, è stata determinante in due delle cinque votazioni: in occasione della fiducia sull’articolo 3 e nella quinta ed ultima fiducia.

La maggioranza, con numeri sufficienti per far passare i sì, ha incassato 150 voti a favore nella prima votazione e, a seguire, 151 alla seconda, 148 alla terza, poi ancora 150 voti alla quarta, per concludere il quinto voto e ultimo voto incassandone altri 145.

Proteste in Aula durante le votazioni ci sono stati diversi momenti di tensione in Aula, gestiti dal presidente del Senato, Pietro Grasso. Alcuni senatori hanno votato con le bende sugli occhi, altri hanno mostrato cartelli, molte le proteste verbali contro la legge e la decisione del governo di porre le fiducie. La protesta dei Cinque Stelle con Grillo al Pantheon Anche oggi la protesta del M5s contro il Rosatellum bis si è riversata in piazza. Al Pantheon tra centinaia di manifestanti con cartelli e bende bianche c’era anche Grillo. “Se vinciamo sarà una vittoria tripla”, ha detto il fondatore del Movimento prima di bendarsi gli occhi assieme agli alt.

Il valore della stabilità

Il presidente emerito Giorgio Napolitano ha dichiarato: “Mi pronuncio  con tutte le problematicità e le riserve che ho cercato di motivare, per la fiducia al governo Gentiloni, per salvaguardare il valore della stabilità, per consentire, anche in questo scorcio di legislatura, continuità nell’azione per le riforme e per una più coerente integrazione europea e mi pronuncio per la fiducia per sostenere scelte del presidente del Consiglio fondate sulle prerogative attribuitegli dalla Costituzione e dalle leggi”.

Gli scissionisti Mdp, usciti dalla maggioranza ad inizio ottobre, quando non votarono il Def e fecero dimettere il loro vice-ministro, Filippo Bubbico, hanno annunciato nuovamente (per la terza volta in un mese) la propria uscita dalla maggioranza e si sono accodati ai Cinque Stelle e a Sinistra Italiana: inizialmente hanno provato a non votare, nella speranza di far mancare il numero legale e saltare la fiducia, poi – visto che lo sforzo appariva vano, grazie anche al voto dei 13 verdiniani di Ala – hanno votato no.

 

Redazione

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