Le donne italiane sono le migliori nel rapporto tra lavoro in casa e lavoro fuori casa. Dedicano in media al lavoro domestico, ovvero quello per la cura dei figli, dei parenti e della casa oltre cinque ore al giorno piazzandosi al quarto posto tra i Paesi Ocse.
Il dato risente della scarsa collaborazione dei partner nel nostro Paese che, con appena 100 minuti al giorno in media, si piazzano al quarto posto tra i meno impegnati nelle attività di cura della famiglia. I dati sono contenuti in uno studio Ocse sull’esperienza tedesca sulla condivisione del lavoro in famiglia che analizza la situazione nei principali paesi sviluppati.
Anche nei casi in cui entrambi i genitori lavorano fuori casa la collaborazione al 50% nelle incombenze quotidiane è una chimera. I paesi nordici sono i più avanzati sotto il profilo della condivisione dei carichi familiari la collaborazione delle incombenze quotidiane è del 50%. La collaborazione più bassa in Italia, Messico, Portogallo e Turchia (quelli dove le donne lavorano in casa o per la cura dei figli oltre 300 minuti al giorno) e in Giappone e Corea (i Paesi dove gli uomini dedicano al cosiddetto “lavoro non pagato” meno di un’ora al giorno).
Le donne lavorano in casa almeno il doppio degli uomini a prescindere dal loro impegno in un impiego pagato. In pratica anche le donne italiane tra i 25 e i 45 anni con un’occupazione di oltre 45 ore settimanali lavorano in casa quasi quattro ore (a fronte delle otto di quelle senza occupazione), più degli uomini senza lavoro e di quelli con impieghi inferiori alle 29 ore settimanali.
L’Italia, con un tasso di occupazione femminile ancora molto basso, ha il divario più alto tra donne e uomini sul lavoro non pagato. Il divario risulta invece più basso nelle coppie con un alto livello di istruzione con le donne impegnate lievemente meno nei lavoro di casa e gli uomini più collaborativi.
Inoltre secondo AlmaDiploma e AlmaLaurea le donne italiane registrano risultati più brillanti lungo il percorso formativo e in quasi tutti gli indirizzi di studio rispetto ai colleghi maschi, ma sul mercato del lavoro scontano ancora un forte divario in termini non solo occupazionali e contrattuali, ma anche e soprattutto retributivi.
Si conferma così un differenziale a favore dei maschi che non diminuisce con il passare del tempo e permane anche quando le donne intraprendono percorsi disciplinari che offrono maggiori chance occupazionali o dove sono storicamente più presenti.
Il Rapporto 2016 sul Profilo dei diplomati conferma che le donne nel campo della formazione se la cavano meglio dei loro colleghi e questo fin dalla scuola media inferiore, che concludono portando a casa un voto d’esame molto spesso più elevato dei maschi: il 38% delle ragazze contro il 29% dei ragazzi ottiene 9 (su 10) o più.
Le laureate, inoltre, provengono in misura maggiore da contesti familiari meno favoriti sia dal punto di vista culturale che socio-economico. Non stupisce, quindi, che tra le donne, più brave ma provenienti da contesti familiari più svantaggiati, sia maggiore la percentuale di chi ha usufruito di borse di studio: il 24% contro il 19% dei maschi.
Il Rapporto mostra che tra i laureati magistrali, a cinque anni dal conseguimento del titolo, le differenze di genere si confermano significative e pari a 10 punti percentuali: lavorano 80 donne e 90 uomini su cento. E a cinque anni dal titolo il lavoro stabile diventa una prerogativa tutta maschile: può contare su un posto sicuro, infatti, il 78% degli occupati e il 67% delle occupate. In particolare, ha un contratto a tempo indeterminato il 48% delle donne rispetto al 58% degli uomini.
Le differenze di genere si confermano anche dal punto di vista retributivo. Tra i laureati magistrali che a cinque anni lavorano a tempo pieno emerge che il differenziale è pari al 20% a favore dei maschi: 1.624 euro contro 1.354 euro delle colleghe. Se è vero che questo risultato è influenzato da diversi fattori, è altrettanto vero che, a parità di ogni altra condizione, gli uomini guadagnano in media 168 euro netti mensili più delle donne. A ciò si aggiunge che il titolo di laurea è efficace per lavorare più per gli uomini che per le donne: rispettivamente l’88,5% contro l’82,5%.
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