I carabinieri uccisi da Cosa Nostra nel 1983: un tragico episodio di lotta alla mafia.
Chi erano Mario D’Aleo, Giuseppe Bommarito e Pietro Morici, i carabinieri caduti a Palermo
Il 13 giugno 1983, Palermo fu teatro di un tragico episodio che costò la vita a tre valorosi carabinieri: Mario D’Aleo, Giuseppe Bommarito e Pietro Morici. Questo triplice omicidio, compiuto da membri di Cosa Nostra, rappresenta uno dei momenti più bui nella lotta contro la mafia in Italia. Questi uomini hanno pagato con la vita il loro impegno nella difesa della legalità e della giustizia.
Mario D’Aleo, designato come obiettivo principale, aveva solo 29 anni al momento della sua morte. Era entrato nell’Arma dei Carabinieri nel 1973 e, in breve tempo, aveva scalato i ranghi fino a diventare capitano nel 1982. Si era distinto per le sue indagini contro Cosa Nostra, incluso il caso di Giovanni Brusca. “La mafia deve essere combattuta a tutti i costi. Ogni uomo in divisa è pronto a sacrificarsi per la giustizia,” ha dichiarato un alto ufficiale dell’Arma nel ricordare D’Aleo.
Giuseppe Bommarito, nato nel 1944 e di 39 anni al momento dell’omicidio, si era unito ai carabinieri nel 1964. Trasferito in Sicilia nel 1965, vi lavorò nella squadra di Emanuele Basile, un altro carabiniere ucciso dalla mafia. Bommarito è ricordato per l’eroismo e la dedizione, come suggerisce un documento rilasciato dal Ministero dell’Interno: “Bommarito ha incarnato i valori di un carabiniere, sempre pronto a mettere in gioco la sua vita per proteggere i cittadini.”
Pietro Morici, il più giovane dei tre, aveva solo 27 anni al momento della sua morte. Era entrato nell’Arma nel 1975 e aveva iniziato a servire come autista per Basile. “Ogni giovane carabiniere guarda a questi uomini come esempi da seguire,” ha affermato un portavoce dell’Arma, ricordando l’importanza del loro sacrificio.
Il contesto e lo sviluppo del caso
L’agguato avvenne in via Cristoforo Scobar, dove Mario D’Aleo si trovava per incontrare la fidanzata. Tre sicari di Cosa Nostra lo raggiunsero e, senza lasciare scampo, lo freddarono. Poco dopo, anche Bommarito e Morici furono uccisi dagli stessi esecutori. La brutalità dell’azione mafiosa suscitò un’ondata di indignazione nell’opinione pubblica.
Il triplice omicidio rimase irrisolto per quasi 25 anni, diventando uno dei tanti casi di cronaca legati alla mafia. Solo nel 2008, grazie al pentimento di Francesco Paolo Anzelmo, si giunse a riconoscere i nomi degli esecutori: Michelangelo La Barbera, Salvatore Biondino e Domenico Ganci. Questi ultimi erano stati mandati dai capi di Cosa Nostra, tra cui Totò Riina e Bernardo Provenzano. “La giustizia richiede pazienza, ma il nostro impegno non conosce tempo,” ha affermato il procuratore della Repubblica di Palermo in un’intervista.
I dettagli del caso hanno mostrato quanto fosse intricato il sistema mafioso, rendendo chiara la necessità di un’agenzia di contrasto forte e coesa. Nel recente programma “Cose Nostre” condotto da Emilia Brandi, intitolato “La strage dimenticata”, si è fatto il punto sulla lunga lotta per fare luce su questi eventi. Durante la trasmissione, sono stati mostrati estratti di interviste a familiari delle vittime, che hanno espresso il loro dolore e il desiderio di giustizia.
Inoltre, per chi volesse vedere un approfondimento su questo tema, è possibile consultare questo video che offre un’analisi dettagliata dell’agguato e delle sue conseguenze.
L’eredità di Mario D’Aleo, Giuseppe Bommarito e Pietro Morici vive attraverso il loro esempio di dedizione al servizio dello stato. Le celebrazioni in loro onore continuano a svolgersi ogni anno, con eventi commemorativi e conferenze che mettono in luce l’importanza della lotta contro la mafia.
Fonti ufficiali, tra cui documenti del Ministero dell’Interno e rapporti delle forze dell’ordine, testimoniano la lotta continua per l’affermazione dello stato di diritto in Sicilia e in tutta Italia. La memoria di questi tre carabinieri è un monito per le future generazioni: la mafia può essere un avversario temibile, ma la determinazione di uomini e donne in uniforme può riportare la giustizia e la legalità in primo piano.
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