Tetto di 240 mila euro per stipendi pubblici dichiarato illegittimo: le nuove implicazioni.

Tetto di 240 mila euro per stipendi pubblici dichiarato illegittimo: le nuove implicazioni.

La Corte Costituzionale ha stabilito, con la sentenza n. 135 del 2025, che il “tetto retributivo” per i pubblici dipendenti non è di per sé incostituzionale, ma ha dichiarato illegittimo l’articolo 13 del decreto-legge n. 66 del 2014, che fissava il limite a 240.000 euro lordi. Tale limite, originariamente legato al trattamento del primo presidente della Corte di cassazione, era stato imposto in un contesto di crisi finanziaria. La Corte ha sottolineato che la norma ha perso il carattere temporaneo, violando i principi di indipendenza della magistratura e richiedendo una rivalutazione generale per tutti i pubblici dipendenti.

La Corte Costituzionale annulla il tetto retributivo per i pubblici dipendenti

ROMA (ITALPRESS) – Con la sentenza n. 135 del 2025, la Corte costituzionale ha dichiarato illegittimo l’articolo 13, comma 1, del decreto-legge n. 66 del 2014, che fissava un “tetto retributivo” per i pubblici dipendenti a 240.000 euro lordi, anziché riferirsi al trattamento complessivo previsto per il primo presidente della Corte di cassazione. La Consulta ha chiarito che il limite salariale deve essere stabilito tramite decreto del Presidente del Consiglio, previa consultazione delle Commissioni parlamentari competenti, seguendo i parametri vigenti fino al 2014.

Il tetto retributivo era stato introdotto con il decreto-legge n. 201 del 2011, applicabile a chi riceve compensi dal bilancio pubblico, e si basava su un riferimento diretto allo stipendio del primo presidente della Corte di cassazione. Con il successivo decreto-legge n. 66 del 2014, l’importo è stato fissato in modo rigido, dando origine a una riduzione consistente delle retribuzioni di alcune categorie di magistrati.

Nei primi anni di applicazione di questa norma, era stata considerata una misura straordinaria e temporanea, giustificata dalla crisi finanziaria del Paese. Con il passare del tempo, però, la norma ha perso la sua natura temporanea, venendo meno alla tutela della indipendenza della magistratura e alla sua compatibilità con la Costituzione. Questo orientamento è in linea con i principi presenti in diversi ordinamenti giuridici internazionali e trova supporto anche in una sentenza della Corte di giustizia dell’Unione europea, che ha criticato similmente le riduzioni salariali per i magistrati.

Inoltre, la Corte ha evidenziato che l’illegittimità di questa norma, per il suo carattere generale, si applica a tutti i pubblici dipendenti. Essendo una incostituzionalità sopravvenuta, la pronuncia non avrà effetti retroattivi ma produrrà i suoi effetti a partire dal giorno successivo alla pubblicazione nella Gazzetta ufficiale della Repubblica italiana.

Sentenza della Corte Costituzionale sul “tetto retributivo” per i Pubblici Dipendenti

ROMA (ITALPRESS) – La Corte costituzionale ha emesso la sentenza n. 135 del 2025, confermando che la norma relativa a un “tetto retributivo” per i pubblici dipendenti non è intrinsecamente contraria alla Costituzione. Tuttavia, ha dichiarato illegittimo l’articolo 13, comma 1, del decreto-legge n. 66 del 2014, che fissava il limite massimo a 240.000 euro lordi, invece di fare riferimento al trattamento economico complessivo destinato al primo presidente della Corte di cassazione. La Corte precisa che il parametro per definire il “tetto” deve tornare a essere basato sul decreto del Presidente del Consiglio, con il preventivo parere delle Commissioni parlamentari competenti.

Questo limite retributivo era stato introdotto dal decreto-legge n. 201 del 2011, applicabile a tutti coloro che ricevono stipendi dalle finanze pubbliche, attraverso un rinvio allo stipendio del primo presidente della Corte di cassazione. Con il decreto-legge n. 66 del 2014, però, il “tetto retributivo” è stato fissato in modo rigido, causando una significativa riduzione del trattamento economico per alcuni magistrati.

Nei primi anni di applicazione della norma, non è stata considerata incostituzionale poiché classificata come una misura straordinaria e temporanea in risposta a una crisi finanziaria eccezionale. La Corte mette in evidenza come, con il passare del tempo, tale misura abbia perso il suo carattere temporaneo, minando la salvaguardia dell’indipendenza della magistratura, essenziale per la sua compatibilità costituzionale. Questa sentenza si allinea con i principi di molteplici ordinamenti costituzionali esteri, come riconosciuto anche dalla Corte di giustizia dell’Unione europea in una recente sentenza.

Infine, la Corte ha stabilito che l’incostituzionalità della norma riguarda tutti i pubblici dipendenti, e poiché si tratta di un’illegittimità sopravvenuta, la dichiarazione non avrà effetti retroattivi, producendo i suoi effetti solo dal giorno successivo alla pubblicazione della sentenza nella Gazzetta Ufficiale.

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