Jihad e radicalizzazione, il rischio viene dal web e dalle carceri

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«I percorsi di radicalizzazione si sviluppano soprattutto in alcuni luoghi, nelle carceri e nel web». È questo il quadro che emerge dopo la riunione della Commissione di studio sul fenomeno della radicalizzazione e dell’estremismo jihadista. A parlarne è il premier Gentiloni in una conferenza stampa di ieri a palazzo Chigi dove ha sottolineato l’importanza della «prevenzione» e di «politiche migratorie efficaci», a cominciare dai rimpatri, coniugando «rigore e accoglienza», la «bussola su cui si muove» il suo governo.

Il contrasto della radicalizzazione ed estremizzazione della minaccia jihadista passa per “politiche migratorie sempre più efficaci” unite a “politiche di rigore ed efficacia nei rimpatri”.

L’Italia, assicura, secondo gli ultimi dati, presenta meno radicalizzazione che altrove, ma non bisogna abbassare la guardia. Gentiloni ha spiegato che “c’è una specificità” italiana nei fenomeni di radicalizzazione e “per certi versi è più rassicurante nel senso che le dimensioni numeriche della radicalizzazione sono minori che in altri Paesi. Ma il fatto di avere un numero minore di persone radicalizzate o foreign fighters non ci deve indurre a sottovalutare il fenomeno e la necessità di capirlo”.

«Abbiamo bisogno di prevenzione, prevenzione, prevenzione» e di «massima vigilanza». Il «fenomeno della radicalizzazione di minoranze fondamentaliste islamiche – dice Gentiloni – va contrastato dal punto di vista dell’apparato di intelligence e della sicurezza. Ma per poterlo contrastare con efficacia, bisogna innanzitutto capire le dimensioni, i percorsi e le ragioni».

«Carceri e web – ripete il premier – sono luoghi di radicalizzazione. Per questo, lavorare su questi luoghi è uno dei modi principali per prevenire la minaccia terroristica». La vigilanza «deve essere massima», «abbiamo bisogno di prevenzione e di politiche migratorie sempre più efficaci».

Il ministro dell’Interno Marco Minniti, ha aggiunto: «La legge prevede che chi è irregolare nel nostro paese deve essere rimpatriato. È difficile pensare al respingimento immediato di un irregolare. Per procedere al rimpatrio bisogna avere un accordo firmato con il paese che deve recepire il rimpatrio. Il Cie è una struttura in cui la persona viene trattenuta in attesa della procedura di rimpatrio. La legge li chiama ancora Cie e non sono particolarmente affezionato a questa dicitura, forse il nome potrà cambiare o forse no, ma quel che è certo è che non avranno nulla a che fare con quelli del passato e non hanno nulla a che fare con i richiedenti asilo. Io ho il dovere di presentare una proposta e lo farò. Già il 19 gennaio ne parleremo in conferenza Stato-Regioni. È un pezzo della proposta, non la proposta». Minniti ha poi annunciato che «il 16 gennaio si terrà a Tunisi la conferenza del gruppo di lavoro misto italo-tunisino per affrontare tema rimpatri».

 

Piccoli Centri per richiedenti asilo, stop a “grandi strutture”, accoglienza diffusa sul territorio, rendere “più possibile effettivi i respingimenti forzati” di chi non ha diritto a rimanere. “Punto. Non c’entrano nulla perché hanno un’altra finalità, non c’entrano con l’accoglienza ma con coloro che devono essere espulsi”.

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