Ferri (Ey) sostiene che la ricerca è il fattore chiave nell’intelligenza artificiale

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La via italiana verso l’Intelligenza Artificiale passa dalla capacità di intrecciare la dimensione industriale e quella della Pubblica Amministrazione. Le scelte vanno orientate principalmente verso alcuni settori che possano dare al nostro Paese la capacità di occupare uno spazio a livello europeo, poiché il nostro è un mercato “B2B” più che “B2C” e questo teoricamente ci dà un vantaggio verso altri mondi che hanno più possibilità d’investimenti. Questo è quanto sostiene Donato Ferri, EY Managing Partner Europe West Consulting, nel corso del suo intervento all’evento “L’Intelligenza Artificiale per l’Italia”, organizzato dal Dipartimento per la trasformazione digitale della Presidenza del Consiglio dei ministri e AgID – Agenzia per l’Italia Digitale.

L’economia dei dati rappresenta un’occasione irripetibile: oggi rappresenta il 3,2% del PIL italiano, ma mettendo al centro l’IA può passare al 5,9% entro il 2030. Questo a condizione di creare coerenza tra l’opportunità tecnologica e il tessuto imprenditoriale e industriale del Paese. Perciò, la ricerca diventa il fattore chiave oggi e domani: i fondi del PNRR e quelli aggiuntivi che l’attuale governo metterà in campo rappresentano un patrimonio di opportunità che dobbiamo valorizzare, raccordando il filone della ricerca pubblica con quello della ricerca privata, sia sulla parte di Intelligenza Artificiale sia sulla parte di supercalcolo.

Secondo Ferri, questi investimenti consentiranno di accelerare la trasformazione delle grandi imprese ma anche delle piccole e medie, a partire da un quadro regolatorio chiaro e coerente con l’attenzione che in Italia dedichiamo agli aspetti di privacy, di tutela dei diritti intellettuali ed etici. Alla base di tutto, abbiamo la responsabilità di ragionare a lungo termine su quelli che saranno gli impatti occupazionali, le necessità di creare nuove competenze e di reskilling di quelle esistenti.

Un punto fondamentale è quello che sta accadendo nel presente, poiché questo è un mercato in continua evoluzione. La capacità del pubblico, già dimostrata con il PNRR, di mettere in campo dei fondi per la ricerca – 1,6 miliardi per l’IA, circa 2 miliardi per la parte relativa al super computing, uniti al miliardo circa come indicato questa mattina -, ci dà la possibilità, come Italia, di progredire nella ricerca che è fondamentale e lo sarà almeno nell’avvio di questa fase.

Un ulteriore aspetto da considerare sono i fattori competitivi, che in questa sfida sono fondamentali perché, nel passaggio dalla ricerca all’azione, saranno necessari un certo numero di sviluppatori software e di persone in grado di creare algoritmi, sarà necessaria una capacità computazionale per modellare e anche la capacità delle aziende di dotarsi di una governance organizzativa in grado di mettere a sistema la ricerca e sviluppo con la capacità produttiva, evitando i rischi.

L’ultimo punto, forse il più importante, è la fiducia, il trust. La tecnologia dell’intelligenza artificiale crea preoccupazioni comprensibili da un punto di vista umano. Questo aspetto, però, se lo guardiamo su una scala più ampia, deve essere interpretato come modello di sviluppo delle persone all’interno delle organizzazioni. Quindi, quale sarà l’impatto dell’IA a 5-7 anni sulla forza lavoro dell’azienda? Si stima che l’80% dei 800 profili professionali italiani oggi avranno un impatto significativo. Pertanto, diventa fondamentale il tema del reskilling, ma orientato in maniera precisa dato che non tutte le persone possono essere reskillate allo stesso modo. Altrettanto importante sarà comprendere quali lavori potranno essere sostituiti senza creare problemi. Infine, bisogna evitare il rischio della “sostituzione dei cervelli” o peggio dello “spegnimento dei cervelli”.

EY ha dedicato un laboratorio a Roma, EY wavespace, connesso con laboratori EY in tutto il mondo, dove ci sono circa 50 ricercatori di psicologia comportamentale e neuroscienza che studiano gli impatti dell’IA sul cervello delle persone che dovranno interagire con essa nelle varie fasi di implementazione. Ferri conclude affermando che tutto ciò conferirà concretezza ai discorsi sull’etica dell’algoritmo.

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