Scuola azienda? No, puntiamo su esperienze reali e formazione pratica!
Max Weber avvertì sui mali della burocrazia, necessaria ma dannosa, che appiattisce e banalizza. Questo è l’esatto opposto di ciò che una scuola dovrebbe perseguire, ovvero stimolare la problematizzazione e il pensiero critico. Le aziende, quando entrano nel campo educativo, spesso portano linguaggi e metodologie che minano gli obiettivi formativi, focalizzandosi piuttosto su finalità private che tendono a confliggere con il bene pubblico.
Ken Robinson ha messo in evidenza come la scuola abbia adotto un paradigma culturale dominante, trasformandosi in una catena di montaggio. La standardizzazione, perfettamente incarnata dall’Invalsi, degrada l’individualità degli alunni. Le aule, sempre più affollate, non rispettano nemmeno i criteri minimi per una didattica efficace, mentre le risorse per tecnologie come PC e tablet sembrano non mancare mai, a discapito degli stipendi degli insegnanti, tra i più bassi in Europa.
Il futuro dell’educazione
Una cultura aziendale improntata sulla figura del “capo”, con gerarchie rigide e un approccio burocratico e digitalizzato, minaccia la qualità educativa delle scuole. Le concezioni di “scuola-azienda” e “preside-manager” creano una distorsione inquietante. Quando la missione di formare cittadini pensanti e critici è messa in discussione, viene il sospetto che ci sia un’intenzione più profonda di produrre “utili idioti”. Questo è alimentato anche dalla politica, che ha oramai aperto le porte a un’inedita collaborazione tra pubblico e privato.
