Octopus farming: una minaccia nascosta per la conservazione marina e la biodiversità oceanica.
Il dilemma dell’allevamento di polpi: un’illusione di sostenibilità
Le popolazioni di polpi in tutto il mondo stanno affrontando pressioni crescenti a causa della sovrapesca, della perdita di habitat e dei cambiamenti ambientali. In risposta a queste sfide, sono state avanzate proposte discutibili riguardanti l’allevamento di polpi in cattività, presentate come una soluzione per alleviare la pesca selvaggia. Alcuni sostenitori affermano che l’acquacoltura di polpi potrebbe contribuire a ridurre la pressione sulla cattura di polpi selvatici, persino suggerendo che queste iniziative potrebbero aiutare a ripopolare le popolazioni in natura in futuro.
Tuttavia, dietro questa apparente soluzione si celano moltissime preoccupazioni ecologiche ed etiche. Esperti nel settore avvertono che l’allevamento industriale di polpi non è solo insostenibile, ma potrebbe anche accelerare il crollo che intende prevenire.
Un modello alimentare insostenibile
Gli ottimisti dell’acquacoltura del polpo non considerano che questi animali sono carnivori obbligati, il che significa che necessitano di una dieta basata su altre creature marine, principalmente pesci. L’allevamento di polpi richiede enormi quantità di pesce selvaggio per la produzione di mangimi, un metodo che compromette direttamente la biodiversità marina. Le analogie con l’allevamento industriale del salmone sono evidenti: la domanda di mangimi provoca danni alle popolazioni di pesci foraggio e agli ecosistemi marini che dipendono da esse.
Inoltre, il tasso di conversione del mangime per i polpi è tra i peggiori: si stima che siano necessari fino a 3 chili di animali marini per produrre solo 1 chilo di polpo allevato. Questa inefficienza non solo non allevia la pressione sulle popolazioni selvatiche, ma la intensifica.
