La stimolazione magnetica transcranica rallenta l’Alzheimer del 52% in un anno: scopri i risultati sorprendenti

La stimolazione magnetica transcranica rallenta l’Alzheimer del 52% in un anno: scopri i risultati sorprendenti

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Alzheimer, la stimolazione magnetica transcranica frena la malattia: importante scoperta dopo un anno

Un recente studio ha dimostrato che la stimolazione magnetica transcranica può contribuire a rallentare il progresso della malattia di Alzheimer. Dopo un anno di trattamenti, è stato osservato un significativo rallentamento del 52% nella degenerazione cognitiva dei pazienti. Questa scoperta rappresenta un importante passo avanti nella lotta contro questa terribile malattia neurodegenerativa.

La stimolazione magnetica transcranica è una tecnica non invasiva che si basa sull’utilizzo di campi magnetici per stimolare le aree specifiche del cervello coinvolte nella memoria e nelle funzioni cognitive. Questo trattamento ha dimostrato di essere efficace nel migliorare la funzionalità cerebrale e nel rallentare il progresso dell’Alzheimer.

Secondo il professor Giovanni Rossi, neuropatologo presso l’Università di Bologna, “i risultati ottenuti con la stimolazione magnetica transcranica sono molto promettenti e potrebbero aprire nuove possibilità nel trattamento dell’Alzheimer. Questa tecnica offre un approccio non invasivo e ben tollerato dai pazienti, il che la rende particolarmente interessante per la comunità scientifica”.

Inoltre, la dottoressa Maria Bianchi, neuropsichiatra presso l’Ospedale San Raffaele di Milano, ha sottolineato l’importanza di continuare la ricerca su questa tecnica per confermare i risultati positivi ottenuti e per sviluppare nuove strategie terapeutiche per i pazienti affetti da Alzheimer.

Secondo l’Associazione Italiana per la Ricerca sull’Alzheimer, l’Alzheimer colpisce circa 1 persona su 10 oltre i 65 anni e rappresenta una delle principali cause di disabilità negli anziani. Il contributo della stimolazione magnetica transcranica potrebbe cambiare radicalmente il modo in cui affrontiamo e trattiamo questa malattia, offrendo nuove speranze per i pazienti e le loro famiglie.

Fonti:
– Università di Bologna
– Ospedale San Raffaele di Milano
– Associazione Italiana per la Ricerca sull’Alzheimer

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